mercoledì 18 febbraio 2009

Aldo Busi sui libri degli altri

Mi fa mia sorella, mentre deposito per terra a casa sua un altro sacco di carta stampata rilegata e copertinata di cui ho liberato casa mia, "Ma tu i libri degli altri non li leggi?", "Leggo solo i libri degli scrittori", e tralascio di aggiungere "come me" per non irritarla, "E come fai a saperlo se non li apri nemmeno?" - e questo perché, di tutti i pacchetti contenenti libri che indirizzati a me dalle varie case editrici arrivano a lei, mai e poi mai me ne sono portato appresso uno: scartato il plico, il mio commento è sempre, "Vedi se ti interessa, altrimenti buttalo" -, "So, so".

Mi arriva di tutto, dai romanzi a manovella degli israeliani (tutti insopportabili senza eccezione; ma se i libri degli ebrei in generale mi hanno sempre rotto le palle, Roth compreso, niente in confronto a quanto me le rompono quelli degli arabi e dei sudafricani oggi più in voga) all'autoagiografia della Bignardi all'ennesima parabola cristologica dell'Augias ai ciclostilati Lucarelli/Camilleri.

Tuttavia, mia sorella e mia nipote e mio cognato sono impazziti per l'ultimo parto della Mazzantini e hanno fatto un tale can can in giro che buona parte delle copie vendute in Lombardia partiranno dal loro innocente entusiasmo, e sono contento per la Mazzantini, con tutte quelle bocche che ha da sfamare. Per me potrebbero benissimo morire di stenti anche indicibili.

Ho pregato tanto ogni casa editrice di non mandarmi la paccottiglia che pubblica alla cieca, cioè di non mandarmi niente, che i libri che voglio me li compro: niente da fare. Sperano in una mia recensione, visto quanto ho fatto vendere a fronte di quelle poche cui mi sono volentieri abbassato per una sfida tra me e me - è incredibile, ma io godo di una credibilità che forse in Italia nessun critico può vantare.

A parte il fatto che non saprei nemmeno più dove farmela ospitare, nelle mie recensioni ho sempre fatto sconti enormi (Ammaniti, perché era giovane, Maugham perché era morto, Agnello Hornby perché siciliana emigrata, e poi quel canadese cialtrone, pubblicato da Adelphi, di cui mi sfugge ora il nome), sebbene oneste: in tutte si dichiarava che i testi in esame erano di autori (di, si sperava, cassetta, ma ben meritata) per lettori da ombrellone o da dopo sci che desiderassero un'alternativa all'illustrato, e infatti alcuni di quei romanzi vendettero centinaia di migliaia di copie, proprio come dei rotocalchi.

Oggi sconti non ne farei a nessuno, nel senso che oggi non farei più nulla per promuovere il volume (d'affari) di un artigiano, per quanto bravo o anche solo bravino. Ho promosso molto, a voce, il libro di Saviano, e ancora prima che uscisse, e ho brigato personalmente affinché lui, ancora del tutto sconosciuto, andasse al festival della cellulosa di Mantova, e di recente ho tolto il saluto a una persona a me cara da anni perché non ha ribattuto niente a uno che, in mia assenza, le ha detto che secondo lui Saviano è "un infame", il che non significa che il libro non sia scritto un po' così, grondi di almeno cento pagine di ripetitività, sia editato con involuta insipienza scritturale, presenti dei grossolani salti di, si fa per dire, stile, come se ci avessero messo le mani troppe signorine dell'ufficio stampa, e non dica proprio niente dell'affaire usura in cui fu coinvolto il cardinale Giordano e parenti: troppo facile in Italia denunciare tutti meno che la Chiesa, madre e pezza d'appoggio di tutte le omertà. Insomma: un coraggio a metà, e non è che Saviano si sia mai sprecato nelle sue interviste nostrane e foreste sulle fortune politiche, se non economiche, del suo editore, Berlusconi. Chissà cosa succederebbe alla sopravvivenza della sua scorta se solo lasciasse balenare che Dell'Utri dovrebbe aumentare la taglia dei suoi gessati.

Però il suo reportage qui e là aveva l'acre odore della verità, e per me questo è bastato a sorvolare sulle pecche della scrittura, lagnosamente sensazionalista e tanto sincopata quanto prevedibile come i rintocchi della campana da uno a dodici a mezzogiorno e poi da uno a dodici a mezzanotte, la stressante mimica di una sintassi molto Stella Pende anni Ottanta e quindi molto bariccata Scuola Holden 2000. Lui sarà anche un martire, ma il sospetto che sia un martire alla moda è insopprimibile.

Di fronte a un fenomeno internazionale del genere, è naturale avere sentimenti contrastanti, ma uno su tutti prevalga, commiserazione a parte per la prosa: Saviano è in buonafede anche se non lo fosse e va difesa la sua libertà di scrivere come può e come sa. In malafede sono solo i suoi milioni di acquirenti non lettori, che prendono lucciole per lanterne e si sentono illuminati. Mica hanno letto Busi! Quanti di loro sono in grado di leggere e di apprezzare, per esempio, "Vendita galline km 2"? Una sporca dozzina in tutto?

Quindi, si possono vendere milioni di copie e ancora non è successo niente, ancora nessuno ha letto qualcosa: e perché non c'era niente da leggere (che già non si trovasse ampliamente sulle gazzette della quotidiana incultura e subcultura giornalistica), e perché a monte non c'è alcun Scrittore, e perché un lettore-lettore è una creatura rara come il suo Contraltare. E perché gli unici colpi che ha ricevuto il "Sistema" sono quelli alla porta, preannunciati con largo anticipo. Se oggi Saviano è quel che è, è in larga misura grazie a Susanna Tamaro che non è più quel che era - e sotto un altro. Ora, attentare alla vita di Saviano da parte dei Casalesi sarebbe incongruente, e anche un po' irriconoscente, come se le Orsoline attentassero a quella della Susanna. Inoltre, Saviano è in odore di Nobel: come punizione, se proprio, non basta e avanza?

L'editoria è una industria a fini lucrativi non più strana di tante altre: crea induzione verso il basso dove sono possibili i grandi numeri, quindi, come quella di preservativi, punta al familismo, alla sua perpetuazione, punta agli istruiti ignoranti di massa che ogni tanto si danno una velleità "civile" a modico prezzo, mentre la Letteratura esclude qualsivoglia ideologia "mirata", e per il pro e per il contro.

Per assurdo è sempre un caso se l'editoria pubblica un'opera di Letteratura, non è il suo mestiere e nemmeno il suo fine. Può succedere, ma per svista, e con la stessa frequenza con cui a una fabbrica di bottoni scappi di fare i buchi a una perla. Quindi a me di gente pubblicata che mi ruba tempo per leggere di gioie e dolori della coppia, di trasgressioni e idealità impiegatizie per poi sposarsi e fare figli e guerre e genocidi e pulizie etniche e apartheid e tormentoni soliti, non mi importa niente.

O meglio: se questo è il punto, da solo non basta perché a un testo non debba preferire un audio-visivo. So già a fine di pagina uno come inizia pagina cento, ecco: diciamo che, non presentando il linguaggio alcuna novità, non è certo con una trama anziché un'altra che tutte insieme possono attrarre il mio interesse. Mai iniziare un libro il cui senso sta solo nel come finisce, mai nel come procede.

Quanto ai libri del cosiddetto impegno, sono di per sé intrisi di una tale saccente ipocrisia (e parzialità di vedute) che mi stomacano già nella sacca del postino. A ben vedere, si potrebbe riassumere un libro di duecento pagine in un trafiletto di venti righe e la mia coscienza ovvero crescita di essere sociale non sarebbe cambiata e migliorata di una virgola - perché ciò che non stravolge l'estetica ricevuta, non sfiora l'etica da rifondare.

Sono libri di autori immancabilmente sentimentali che provengono dal giornalismo dell'Ordine, dalla magistratura, dalla politica, dalla televisione, dalla Sacra Famiglia dei valori acquisiti come un destino, dalla, infine, Prima e ultima Comunione che li ha resi dei furbacchioni standard, spesso degli incapaci cari al macinino dei media che li esalta per esaltare se stessi e la propria, inscavalcabile (secondo i medesimi, non secondo me) forza promozionale: siano essi produttori di libri sulla religione o sul desiderio frustrato di avere prole, su omicidi passionali o camorre o mafie o carriere avvocatizie, sono tutti uguali. Letto uno, letti tutti.

Uno Scrittore non ha un argomento del cuore e nemmeno una tesi del cuore, non sarà mai seriale, perché non lo è la lingua adottata, quasi sempre inventata, e grazie a questa lingua fa esplodere l'ovvio (reazionario) nella testa di chi lo legge, gli dà la prospettiva che lo irrita, che non voleva né cercare né trovare. Il libro di uno Scrittore per restare nel tempo deve farti provare disgusto di quello che sei ora. Ovviamente può trattare di personaggi in slums o magioni e in ogni forma di abitacolo al mondo, di clan e di lobby, di banche e di cosche, di Magliane e di Unesco, di Chiesa e di Mammona, ma l'oggetto della sua denuncia non è mai disgiunto dall'unica denuncia possibile: contro se stesso che lo scrive e, superfluo dirlo, contro il suo peggior nemico: chi lo legge.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Aldo Busi è un genio.

Sempre.

 
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